Il mio primo volo da hostess

Ero molto diversa rispetto ad oggi quando feci il mio primo volo da hostess: avevo i capelli scuri e lunghi e forse era la prima volta che indossavo una camicia in via “ufficiale”. Difatti per il corso a terra avevo dovuto comprarne alcune, ma qualche volta sono riuscita a non metterle e a camuffare la cosa con giacca e foulard. Ripensandoci oggi, che sono bionda e di voli ne ho fatti giusto “qualcuno” la camicia la detesto ancora. Specie quando esce dai collant, perché noi ce la infiliamo bene bene dentro le calze così da sentirci più comode.

Io e la mia amica avevamo appeso davanti la porta di casa un foglio con riportato l’elenco di cose da portare con se per il volo. Era scandaloso perché riportava una serie di oggetti incredibilmente inutili all’apparenza: cappellino, apribottiglie, manuale, giacca, grembiule, calze di scorta, guanto da forno, torcia: nulla andava dimenticato.

Quella mattina, alle quattro (mi chiedo ancora se si possa definire “mattina”) pronta per la mia prima esperienza, rileggevo con la voce tremolante le voci dell’elenco assicurandomi di aver preso su tutto.

Dopodiché, sali in auto accompagnata dalla mia amica nonché collega.

“I guanti porca miseria, Engi cercali!” Guidavo la macchina direzione aeroporto e nel mio nervosismo generale guardavo la mia amica con una faccia che esprimeva una specie di stupore alla Fantozzi: “Dove cazzo sono finiti?! Possibile che io debba essere sempre la regina dei rincretiniti e averli lasciati a casa? Ti rendi conto? E’ la fine! La fine della mia carriera! Rovinata da un paio di guantini di scena che l’istruttrice si è ben raccomandata di tenere indossati!”

“Eccoli, stai calma e respira.”

“E dov’erano?”

“Qui nella borsetta!”

Mi stava venendo una crisi di nervi. Avevo sognato per anni quel momento ed ora mi pareva un incubo! L’ansia mi stava divorando dentro e avevo paura di tutto: paura dell’equipaggio, paura di non essere all’altezza, paura di fare figuracce.

L’ipotesi di fuga non era contemplata, dovevo farcela!

Arrivai in aula briefing per prima. Ci avevano fatto il lavaggio del cervello sulla questione della puntualità. “Essere puntuali é il primo comandamento della brava assistente di volo” dicevano ogni giorno gli istruttori, ma nel contempo non era previsto che tu arrivassi con troppo anticipo perché “una brava hostess deve preservare le energie per tutte le ore di lavoro che le aspettano” – tradotto un mucchio di ore. Insomma dovevi essere lì un’ora o due ore prima a seconda del tipo di volo e dovevi spaccare il minuto. Facile no?

Fortunatamente, agli allievi era concesso arrivare qualche minuto prima perché ancora dovevano conoscere bene le tempistiche per arrivare all’aeroporto, parcheggiare, consegnare la valigia grossa a banco (all’epoca era di moda, poi non si è più fatto), tornare indietro e raggiungere l’aula briefing per incontrare il resto del crew.

Dopo una decina di minuti arrivarono gli altri. Incontrai la capo cabina, che oltretutto era un’istruttrice, e le altre ragazze. Mi misero a mio agio e improvvisamente mi sentii meglio.

Successivamente arrivò il Comandante e il Primo Ufficiale a presentarsi e ci fecero un piccolo briefing sui tempi di volo e il meteo, dopodiché loro tornarono nella loro stanza (quella dei piloti)  e noi iniziammo il nostro.

Conservo ancora il foglio del briefing di quel giorno! Il volo era un classico charter per l’Egitto, con una successiva sosta in hotel e un secondo charter il giorno dopo per poi rientrare a casa la sera, il tutto fatto con un Boeing 757.

Una volta a bordo controllai insieme ad una collega i miei equipaggiamenti di emergenza e successivamente il catering e la cabina. Ora lo dico come se fosse la fiera dell’ovvio, ma all’epoca era davvero un’impresa ardua. Non capivo niente!

Gli eventi avevano una successione così rapida che mentre cercavo di capire su quale strapuntino dovevo sedermi al decollo già i passeggeri erano sottobordo. “Come, di già?” -pensai, ed eccoli che arrivarono a bordo iniziando ad occupare l’enorme pancia del 757e a farmi domande di questo genere:

“dov’è il 23A?”

“Dove lo metto il mio cane?”

“Mi aiuta col bagaglio?”

“Acqua?”

“Fame! Quando date da mangiare?”

Oh mamma mia. Ancora dovevamo decollare ed io  già ero stanca. Sembrava che la loro soddisfazione di bisogni primari fosse nelle mie mani e io dovessi risolvere i loro problemi andando contro le norme della compagnia. Un esempio classico? Eccolo: Il passeggero sale a bordo e deve far pipì, ma tu per regolamento interno hai chiuso a chiave il bagno. Che fai?

A- metti il catetere al passeggero

B- mandi a quel paese il passeggero

C- fai fare questa benedetta pipì al passeggero ricordandoti di richiudere successivamente la toilette.

Esatto, risposta “C” ovvero il problem solving, ecco cosa serve come requisito degli assistenti di volo, mica l’altezza o altre cazzate tipo niente tatuaggi!

Mentre ero persa nei miei pensieri e mandavo in bagno la gente, sistemavo i cagnolini sotto i sedili, controllavo i biglietti e sorridevo come se avessi visto un’apparizione, era già tempo di andare in volo.

Ed ecco che nel silenzio del decollo affrontai una delle mie più grandi paure: volare.

Dai ridete. Si lo so che è divertente, haha!

Avevo paura del volo e tuttora avverto un brivido al decollo. Non fraintendetemi, amo il volo in maniera viscerale. E’ stato per amore dell’aviazione che ho deciso di intraprendere questa carriera, ma volare è una magia e lo sarà sempre per me. Ho studiato la teoria del volo e volato sulle macchine più disparate (per esempio, ho avuto la fortuna di provare il volo acrobatico) e il mio desiderio di stare lassù vince le mie paure, ma credo fermamente che si debba portare rispetto per il cielo e ricordarsi sempre che siamo ospiti e non i padroni dello spazio.

Il decollo, il mio primo decollo da assistente di volo e con seduta al contrario (guardando in faccia i passeggeri) fu un’emozione unica. Avevo realizzato un sogno. Era iniziata una nuova epoca della mia vita: ero libera. Da piccola impiegata che viveva nel paesino di campagna ero diventata un’assistente di volo che viaggiava, conosceva nuove persone e nuovi mondi ed ero, lo ripeto ancora, libera! Anche in mezzo a tutte quelle regole e l’aria riciclata, io avevo trovato il mio angolo di paradiso.

Preparai il servizio della colazione insieme alle altre colleghe che mi insegnavano e portavano pazienza mentre rispondevano alle mie domande e successivamente andai in cabina passeggeri per fare il mio primo servizio.

Mi sentivo davvero imbranata! Avevo paura di versare la coca cola addosso a qualcuno oppure di pestargli un piede col carrello, o qualsiasi cosa. A dire il vero riuscì da sola a fare una figura di M….! Mi abbassai per prendere una bottiglia dal fondo del carrellino, e quando mi alzai diedi una botta con la testa sull’extension (che è un ripiano estraibile dove magari appoggiamo tovaglioli o altro). Me la ricordo perfettamente la sensazione di vergogna che provai anche dopo anni, e idem ricordo bene la faccia perplessa dei passeggeri che si sono gustati la scena!

Oggi non me ne vergogno più. Ci rido sopra di gusto, ricordando anche altre scene imbarazzanti che ho avuto nel corso della mia carriera. Per esempio, una volta durante una demo un mio collega (che era anche un amico) mi infilò nella camicia dal colletto una manciata di cubetti di ghiaccio! Sono “saltata in aria” davanti a 180 persone (e quanti altri scherzi potrei raccontare!).

Dopo 3 ore e mezza, iniziammo la discesa. Nel frattempo la capocabina mi chiamò davanti e mi disse che i piloti avrebbero gradito una visita. Entrai in cockpit: la prima volta in volo non si scorda mai. L’aereo virava a sinistra e io potevo vedere il deserto che finiva laggiù dove iniziava il mare blu, e davanti a me tutti quei bottoni che all’epoca erano un mistero che loro toccavano come se non avessero fatto altro dalla nascita.

“Ti piace?” Chiese il Comandante.

“E mi pagano pure. E’ il paradiso!” Risposi

“Vuoi atterrare qui con noi?”

“Se posso, accetto volentieri!”

Mi fecero sedere sul terzo sedile e mi allacciai le cinture. Quando sei allievo puoi farlo, perché non hai una porta in carico. Una volta che ti sei certificato, non puoi più, perché hai la responsabilità se succede qualcosa e non puoi certo dire “scusate, ero in cabina di pilotaggio a vedere l’atterraggio!”

Atterrammo nel deserto dopo solo 4 ore di viaggio.

Il sole esplodeva di calore, i passeggeri se ne andavano in vacanza e noi eravamo pronti per caricarne altri tornando indietro. Avevo nuovi amici e un mondo nuovo in cui vivere. La stanchezza, la paura, la fatica erano sempre celate da un entusiasmo fuori controllo.

Da quel momento il mio sorriso era vero, e ancora dopo anni lo porto sul viso in ogni volo. Per chi sta per affrontare il suo primo volo, vorrei dire che sarà il momento dove si capirà davvero se si farà quella professione per tutta la vita. Sarebbe davvero bello se qualcuno di voi contribuisse raccontando la propria esperienza per non “far sentire solo” chi deve ancora viverla!

A presto amici, e grazie per leggere il blog, senza di voi non avrebbe la logica di esistere.